Bugatti, storia dal sapore dolce e amaro. Dolce è vedere nella nostra Italia la creazione una vettura di eccellenza come la EB110. Amara il vedere lo stabilimento vuoto e pensare come sarebbe potuto essere oggi e quanti bei modelli avrebbero dato il lustro al nostro paese ma andiamo per ordine.
Nel 1989 l’ imprenditore Romano Artioli, recupera il marchio del milanese Ettore Bugatti, emigrato in Francia alla fine dell’Ottocento per costruire le “automobili più belle del mondo”. La Bugatti, che dal 1963 aveva cessato la produzione e con l’imprenditore Artioli rinasce in Italia.
A Campogalliano fu costruito uno stabilimento qualificato a stretto contatto con la natura con importanti innovazioni tecnologiche per l’epoca, come le porte che si aprivano automaticamente, i giochi di luce la luminosità, una mensa degna dei più nominati ristoranti stellati dove ingegneri operai e clienti mangiavano assieme. La storia racconta che persino Michael Schumacher cliente della Bugatti pranzasse nella mensa. Inoltre la Bugatti è stata una delle prime aziende a fornire la tuta e camici ai lavoratori, tutto perché trovassero il loro benessere.
I lavoratori da parte loro hanno riversato nell’azienda tutto quello che avevano ricevuto con grande stima e orgoglio sentendosi parte attiva del progetto. Apportando la propria competenza e entusiasmo che portarono alla nascita della prima EB110 e successivamente la EB110 super sport 4 turbine 60 valvole 4 ruote motrici telaio in carbonio con carrozzeria in alluminio che per l’epoca era una grande innovazione. Questa autovettura ha ottenuto grandi record che tuttora detiene tipo quello sul ghiaccio con gomme stradali alla velocità di 297 km/h oppure la più alta velocità di una vettura alimentata a metano 344,7 Km/h (come è stata omologata).
Purtroppo questi grandi numeri non sono bastati. Il sogno di costruire in Italia veicoli di grande qualità e pregio, viene infranto dalla concorrenza; che mettendo alle strette i fornitori attraverso una spietata guerra giudiziaria portò, in una fredda mattina i sigilli ai cancelli. Un “buco” da 200 miliardi di lire, quando in realtà c’erano 80 commesse firmate e altre in contrattazione ( il costo mediamente stimato per ogni auto era di circa 1 miliardo di lire), lasciarono a casa 150 dipendenti. I diritti del marchio furono acquistati dal gruppo Volkswagen che ancora li detiene.
A Campogalliano è rimasto solo uno stabilimento vuoto ma che al suo interno sono state scritte pagine importanti dell’automobilismo Italiano.